Una passeggiata nella piana di Castelluccio, tra campi di lenticchie ancora vuoti, praterie e nebbie

Sasso di Palazzo Borghese


Aprendo le persiane il cielo grigio e basso che intristiva la mattinata di fine Aprile non preannunciava nulla di buono; il prato attorno a casa, perlato di gocce in bilico sugli steli d’erba, denunciava una pioggerella caduta fino a pochi minuti prima e il monte Gemelli, che era incappucciato tanto da non vederne la cresta sommitale, era come se ci parlasse e ci consigliasse di rimetterci sotto le coperte. Ma Ascoli Piceno, oltre che essere una città bellissima, ha il vantaggio di essere appoggiata sulle radici delle montagne, i Sibillini e la Laga sono là dietro e serve meno di un’ora per andare a ficcarci il naso e per decidere se arrendersi al meteo nefasto. Motivo per cui non ci lasciamo scoraggiare e in mezz’ora siamo già in viaggio verso Castelluccio, inoltre Marina aveva studiato bene le previsioni meteo, i versanti ad Est dei Sibillini sarebbero rimasti in balia delle nuvole, quelli verso Ovest avrebbero goduto di condizioni migliori, quanto meno variabili, valeva la pena provarci. Già oltre Acquasanta Terme, nonostante la stretta valle del Tronto, gli squarci di azzurro sempre più frequenti e le nuvole sfilacciate ci davano di che sperare, superata Arquata, superata Pretare, lungo i tornanti che salgono a Forca di Presta l’impressione era quella di entrare a far parte di un quadro di Magritte. Fiocchi di nuvole bianche e alte, qua e là più o meno consistenti spezzavano le linee del Vettore, l’enorme roccioso fianco Sud era un puzzle di dettagli che si scomponevano e ricomponevano con la mutevolezza del vento; le nuvole sfilavano sul fianco, liberavano la “piramide” e subito dopo la ricoprivano lasciando libero il canalino a fianco che sale fino alla Cima di Pretare… e così per una infinità di altri piccoli dettagli. Potenti fotogrammi di questa montagna così tante volte vista e mai osservata; quando hai l’imponenza della parete davanti vieni travolto, non sai dove guardare, dove posare lo sguardo, guardi tutto e non vedi nulla, senti solo una sensazione di potenza che ti sovrasta; quando la natura si mette invece a giocare in questa maniera, ti copre e ti fa vedere subito dopo, ti fa accorgere dei dettagli e ti ci fa soffermare, per fissare bene l’immagine aspetti la folata successiva che te la libera di nuovo e scopri dettagli che non conoscevi o che pensavi di conoscere. Iniziava bene questa giornata. Giù, nella valle del Tronto, ristagnava invece un denso cuscino di nuvole, uno strato di nebbia che esaltava la piramide del Sevo, bianca nella sua sommità, le radici della larga montagna ci affondavano dentro, sembrava ancora più alta. Forca di Presta come sempre è uno sparti acque, superata la sella grigi sfilacciamenti di dense nubi sfuggivano al catino della piana di Castelluccio e ci venivano incontro, il preludio al nulla; di là, iniziando a scendere verso la piana è stato come un lento immergersi nel niente; sono sparite le montagne, non esisteva la piana, i campi, il paese, l’Italia di abeti appoggiata sui fianchi del monte delle Rose. Solo grigio senza profondità. Parcheggiamo nello slargo a destra, poco prima che la strada abbandona il piano ed inizia a salire per il paese di Castelluccio; poco più in là, all’inizio di un’ampia carrareccia, una palina con un segnavia del CAI indica la meta, che per noi oggi vuole essere il Sasso di Palazzo Borghese. Nebbia fitta, la carrareccia si perde tra i campi arati da poco e che tra meno di tre mesi saranno teatro della classica e ormai famosissima fioritura, sopra scorre la strada che sale al paese, ogni tanto si sente il rombo di qualche auto che sfreccia ma che solo rumore rimane e si perde in breve tempo nel nulla del paesaggio; un paio di svolte della strada brecciata che prima, in piano, gira a destra e subito dopo, in un ampio incrocio a sinistra iniziando a salire; a sinistra del bivio una bandierina segnavia del CAI a terra indica la direzione, anche in una condizione di poca visibilità come oggi la via è tracciata e non si può davvero sbagliare. Si sale tra i campi arati, campi rubati alla montagna, campi pietrosi, un misto di terra e grossi sassi, ci sembrano ancora di più miracoli la coltivazione della lenticchia e le copiose fioriture cui assisteremo da qua a poco; per chi è abituato a vedere i campi generosi della pianura quello che questi campi saranno capaci di produrre sa di autentico miracolo. La piana di Castelluccio, verso Forca Viola, si alza lentamente, presto il sentiero scorre, aggira e serpeggia in mezzo alle piccole colline erbose che vanno formando il territorio; una serie di gobbe erbose si succedono fino alla base dell’Argentella, la carrareccia scorre in una delle strette valli che queste gobbe formano, entra in una sorta di labirinto che si va isolando dalla piana e raggiunge una ampia conca dove sorge la capanna Ghezzi. Dalla capanna la piana ed il paese di Castelluccio non si vedono, solo alle ultime svolte prima di arrivare alla capanna le nuvole si sono andate diradando e hanno giocato col sole e con i profili delle gobbe per regalarci fotogrammi indimenticabili; una serie di chiaro scuri e trasparenze hanno reso surreali una manciata di minuti, via via che ci alzavamo una luminosa flebile cortina di nubi lasciava intuire le creste in alto, fino alla cima del Redentore, fino poi ad estinguersi e a regalare contrasti di colori accecanti. E’ stato un momento davvero bello per ciò che gli occhi riuscivano a percepire e attraverso questi per ciò che percepivano i sentimenti; ho scattato alcune foto nella speranza, quando le rivedrò, di ricordare meglio quelle emozioni. Sostiamo dieci minuti nei pressi di capanna Ghezzi, il fontanile butta un getto copioso, il verde dell’erba di questa conca è intenso quasi accecante. Riprendiamo a salire sul traverso di fronte oltre la conca erbosa, appena intuibile ma ben indicato da una eccellente segnaletica; come saliamo un po’ scopriamo la piana e Castelluccio ormai liberi dalle nubi; il sole caldo aveva fatto il suo dovere, la piana era disseminata di batuffoli grigi in rapido dissolvimento. L’agile traverso terminava in quella che sulle carte viene chiamata “le Pianacce”, una dolce spianata che permette una meravigliosa vista su tutta la piana di Castelluccio e su tutte le montagne intorno. Senza fretta ed ora con meno pendenza il sentiero riprende a serpeggiare tra le gobbe erbose, traversa verso la sella di fronte avvicinandosi alle coste dell’Argentella; poco prima della sella intercetta il sentiero che tagliando il fianco dell’Argentella stesso raggiunge Forca Viola; all’incrocio un palo con un paio di cartelli non permette sbagli. Continuando sullo stesso sentiero sopra i cartelli, ancora in salita, raggiungiamo la sella su cui spicca uno dei tanti pali mozzi che fanno da segnaletica; a destra un sottile sentiero di un paio di chilometri taglia in costante salita tutto il versante dell’Argentella, verso Nord fino a raggiungere Palazzo Borghese, segue il profilo della montagna, supera un paio di canali che scendono dall’alto, uno dei quali ancora innevato e sciabile viste le armoniche tracce di chi è sceso forse solo il giorno prima. Solo nei pressi della forca de Palazzo Borghese il sentiero è ancora colmo di neve marcia, occorre seguire un filo erboso libero in bilico sul pendio per non finirci dentro, in alcuni tratti è inevitabile sprofondarci fino ai polpacci. La forca che taglia la corona di rocce è colma di neve, ci sfiliamo accanto e sopra e siamo sulle praterie della cresta, quella amplissima cresta che scende dall’Argentella e culmina nella sella tra il Palazzo ed il Sasso Borghese. Il versante Est, tutta la cresta che dal Banditello sale al torrone e al Vettore, è avvolto da alti cumuli scuri, alti, mutevoli, gonfi e velocissimi nello spostarsi; a tratti sembrano sconfinare sopra le nostre teste ma un confine invisibile le ha tenute sempre lontane e siamo rimasti al sole a goderci quello spettacolo di vortici mutevoli. Come uno è spettacolo lo scoglio del Sasso Borghese che con le sue balconate oblique forma un panettone di roccia a precipizio sulla valle del laghetto sottostante. La sella tra i due “borghesi” è un pianoro di neve, si estende fino all’attacco dello spigolo del Porche, Palazzo Borghese ad Est è ancora in splendida forma invernale, per un attimo, solo un attimo, ho temuto che anche il “Sasso” stesse nelle stesse condizioni e ci rendesse difficile salire in vetta. Cumuli bagnati di neve ci sono solo alla base, ci sprofondiamo dentro fino alle ginocchia, bagnati ma passiamo facilmente, il sentierino che aggira la torre rocciosa è sgombro tranne che nel tratto più ripido e notoriamente più infido e sottile, ma è bastato prestare quel minimo di attenzione per oltrepassarlo. Era un paradiso la vetta del sasso di Palazzo Borghese; ad Est un turbinio di nuvoloni mutevoli, ora scuri, ora bianchi come batuffoli d’ovatta, si mischiavano cambiando continuamente prospettive, nel formarsi e distruggersi con moto perpetuo aprivano delle finestre dove comparivano i dettagli delle montagne “amiche”; esaltante quando tra una sbuffante nuvolona grigia si è aperta una finestra che ha lasciato libera giusto la vetta e la cresta sommitale della Sibilla. Anche la cresta di cima Vallelunga giocava a fare il muro, per un momento è comparsa come una lama sottile a trattenere una densa nuvolaglia che saliva da Est ma che non riusciva ad oltrepassarla; ipnotizzante. Per un solo attimo la cima del Torrone è comparsa, il Vettore mai. Non avevo mai notato la mole dell’Argentella, una montagna larga alla base, con una anticima verso Ovest pronunciata ed un altopiano fra le due ancora colmo di neve; il gioco del vedo e non vedo tra le nuvole amplifica le prospettive e le sensazioni, come mi era capitato la mattina con Vettore. Dietro la lunga cresta fino al Redentore splendeva di un candore immacolato, sempre priva di nubi. Siamo rimasti in vetta a lungo, una buona mezz’ora, per brevi tratti folate di vento tese e fresche infastidivano ma non erano continue e si facevano sopportare; abbiamo vissuto un momento prezioso, di rara bellezza, indimenticabile. Siamo stati fortunati e brava è stata Marina a leggere bene le condizioni meteo; abbiamo vissuto e viaggiato sul limite del fronte nuvoloso, con la dorsale Est dei Sibillini che lo trattenevano e con le nuvole alla nostra altezza, là davanti, a regalarci emozioni rare. Mentre ci godevamo tutto questo bello, ci siamo accorti che altre due copie erano salite in alto, una coppia di sciatori sull’Argentella ed una di escursionisti sul Porche, il resto era solo spazio e silenzio. E’ stato difficile decidere di scendere, per un attimo abbiamo pensato di far durare questo momento e di salire sull’Argentella per compiere poi un anello in discesa ma l’idea di sprofondare nel traversare tutta quella neve nel pianoro in alto ci ha distolto dall’intento. Stesso sentiero in discesa, la piana di Castelluccio costantemente davanti, che altro desiderare? Abbiamo riattraversato gobbe erbose e campi arati, moltitudini di fioriture e nuvoli di insetti, la luce e il sole caldo avevano fatto il loro dovere; anche i dettagli che la mattina ci erano stati negati dalla nebbia ci sono stati restituiti tutti. Nella stessa giornata abbiamo attraversato tutte le condizioni che la natura poteva regalarci, solo la pioggia ci è mancata, era prevista per il tardo pomeriggio. L’ultima chicca un pranzetto tardivo in una trattoria di Castelluccio, in faccia al Redentore, a dominare la piana e tutto il percorso della mattinata. Non avevamo più nulla da chiedere. Scesi a Trisungo, sulla Salaria, anche l’ultima promessa è stata mantenuta, è arrivata la pioggia.